venerdì 21 gennaio 2011

Durante la puntata di ieri (20/02/2011) di Annozero, all’inviato Sandro Ruotolo non è bastato coprire le ultime tre cifre del numero di telefono del Presidente del Consiglio per evitare l’accusa de “Il Giornale” di aver reso pubblico il recapito di Silvio Berlusconi. Pare infatti che proprio quelle stesse tre cifre coperte durante la diretta fossero le uniche mostrate negli atti dell’inchiesta sull’ormai celeberrimo Caso Ruby. 
A quel punto gli spettatori attenti non hanno dovuto fare altro che un semplice collage per ottenere niente popò di meno che il numero di cellulare del Presidente del Consiglio italiano, immediatamente pubblicato in rete. Ad onor del vero l’anomalia prende le mosse qualche giorno prima quando, non si sa da dove, sono spuntate le famose 389 pagine degli Atti inviati dalla Procura di Milano al Parlamento. Nel breve giro di poche ore la rete ha fatto eco alla notizia e il file ha fatto il giro del mondo trasformando in informazione pubblica, con tanto di intercettazioni e recapiti telefonici dei soggetti coinvolti, quello che di norma sarebbe dovuto essere a conoscenza soltanto dei membri della Giunta per le Autorizzazioni a Procedere.
Ma così non è stato, anzi, se fino a qualche anno fa di queste “soffiate” se ne sarebbero avvantaggiati soltanto i media più noti, oggi il famoso “segreto di pulcinella”, quello che pochi sanno, molti sospettano, ma nessuno è disposto a dimostrare, grazie alla rete diventa di dominio pubblico in brevissimo tempo, bruciando notizie che un tempo avrebbero fatto la gioia di tanti quotidiani.
Le conseguenze, ovviamente, non si sono lasciate attendere. La testata diretta da Alessandro Sallusti ha tuonato contro Annozero mentre il Garante della Privacy, con un comunicato stampa, ha invitato i siti di informazione on line ad oscurare con urgenza tutti i recapiti telefonici riferibili a persone coinvolte nell'inchiesta sul cosiddetto caso Ruby tratti dagli atti della Procura di Milano. L’Autorità ha anche colto l’occasione per richiamare il mondo dei media ad un più “scrupoloso rispetto del principio di essenzialità dell'informazione”.

mercoledì 12 gennaio 2011

Raccogliere dati attraverso un form per utilizzarli a scopo promozionale è una pratica molto diffusa. Meno diffusa è invece la consapevolezza di come la legge privacy disciplini questa delicata materia.

Come era prevedibile, la tanto sottovalutata legge privacy sta cominciando a creare qualche problema soprattutto a chi, attraverso un sito web, raccoglie dati sugli utenti per poi utilizzarli a fini promozionali. Nel luglio 2010, infatti, il Garante per la protezione dei dati personali, su segnalazione del Centro per i diritti del cittadino, è intervenuto dichiarando illecito il trattamento di dati personali effettuato da un noto sito internet attivo nel settore immobiliare, colpevole di aver incautamente utilizzato i dati dei navigatori raccolti tramite un form per attività di profilazione e invio di comunicazioni promozionali senza disporre di un loro consenso specifico e documentato per iscritto.
Così, per una banalità, per quella che a molti potrebbe apparire come una semplice svista, la società titolare del portale web è stata costretta ad interrompere le operazioni e a porre rimedio alle lacune delle sue pagine internet. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg. Sì perché, costi di aggiornamento e ristrutturazione del sito a parte, l’azienda si ritrova ora con un archivio clienti non più utilizzabile per scopi promozionali, almeno finché non avrà nuovamente raccolto da ogni singolo iscritto espresso consenso ad utilizzare i suoi dati per tali finalità. Un problema non da poco, soprattutto se si pensa che, per evitarlo, sarebbe bastato interpellare un esperto capace di segnalare la violazione e predisporre un’Informativa fatta come si deve.
Ma, come si sa, in Italia siamo un po’ tutti allenatori, presidenti, avvocati e, perché no, a quanto pare, anche consulenti privacy.


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In risposta alle diverse segnalazioni di potenziali violazioni della disciplina sulla protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003) nel programma “tessera del tifoso”, il Garante della Privacy ha deciso di intervenire fissando precise garanzie a tutela dei dati dei supporter delle squadre di calcio.
Il 10 novembre 2010 l’autorità ha infatti emesso un provvedimento con il quale prescrive a tutte le società sportive che aderiscono al programma di migliorare ed integrare le informative fornite ai tifosi che intendono tesserarsi.
Dal momento che la tessera del tifoso contiene i dati del possessore, è identificabile univocamente, è spesso munita di tag RFID ed è rilasciata soltanto dopo una serie di controlli effettuati dalla Questura, con inevitabile trattamento di dati giudiziari (art. 27 D.Lgs. 196/2003), secondo il Codice Privacy i sottoscrittori avrebbero dovuto ricevere opportune e complete informazioni sui trattamenti cui venivano sottoposti i loro dati (art. 13 D.Lgs. 196/2003).
Ma in molti casi, viste le numerose segnalazioni pervenute al Garante, è evidente che le cose siano andate in modo diverso. Per questo l’Autorità ha ritenuto opportuno precisare nel dettaglio quali informazioni debbano essere necessariamente fornite a chi intende richiedere la tessera.
In particolare il provvedimento del 10 novembre 2010 richiede espressamente che l’Informativa evidenzi:
- i trattamenti di dati che non richiedono il consenso, perché connessi al rilascio della tessera;
- i trattamenti di dati che possono essere effettuati solo su base volontaria e con un consenso ad hoc (marketing, profilazione, invio di comunicazioni commerciali);
- la comunicazione dei dati anagrafici del sottoscrittore alla Questura per le necessarie verifiche sulla presenza di eventuali provvedimenti che ostacolino il rilascio della tessera (D.a.spo., misure di prevenzione, sentenze di condanna per reati cosiddetti da stadio);
- le caratteristiche dei trattamenti effettuati tramite la tecnologia RFID.
Nel provvedimento l’Autorità invita infine le società che intendano effettuare attività di profilazione degli iscritti, ad acquisire, per detti trattamenti, uno specifico e distinto consenso da parte degli interessati, provvedendo, nei casi previsti, anche all’eventuale notifica.
Secondo quanto prescritto, tali misure dovranno essere adottate entro 45 giorni dalla data di ricevimento del provvedimento da parte delle società sportive.


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